venerdì 19 dicembre 2008

A m e n. di Costantin Costa-Gavras presentazione a cura del Prof. Benedetto Clausi


A m e n.
di Costantin Costa-Gavras


Amen è una parola ebraica, usata nell’ebraico biblico e nel giudaismo, da cui è passata nella liturgia cristiana quale formula conclusiva per preghiere e inni. Derivando dalla radice ebraica ‘mn (=«essere certo, saldo») amen costituisce il riconoscimento, da parte dei singoli e della collettività, di determinate realtà come «certe» e «vere». Usata, fra l’altro, nel Vecchio Testamento per esprimere conferma e accettazione del compiersi di una minaccia di Dio e di una maledizione, nel Nuovo Testamento l’amen che Gesù pone dinnanzi alle sue parole enuncia altresì la verità dei principi fondamentali e la fede nel dio che dà senso alla storia attraverso la verità di quelle parole: «Ciò che dico, è vero e certo, perché viene da Dio».
Un tale complesso grumo semantico – qui appena accennato – appare operativo nel titolo del film, dove Amen è seguito da un punto, come si vede bene nella contestatissima locandina di Oliviero Toscani, «un infortunio» secondo Tullio Kezich. Quel punto è tanto essenziale quanto drammatico, evocando insieme la fine assoluta e l’assoluto di una realtà che è resa «vera e certa» non dalla provvidenzialità di un dio che governa la storia, ma dal suo stesso accadere. Nel contempo la parola amen dà forma, in qualche modo, al legame storico fra le due civiltà, quella ebraica e quella cristiana (dalla prima la parola è passata alla seconda), tragicamente spezzato dagli eventi, allusivamente richiamati – nella provocazione grafica di Toscani – dall’intreccio indistinto di croce e svastica, anzi dalla metamorfosi dell’una nell’altra (o dell’altra nell’una). Il tutto nel segno cromatico del rosso-sangue.
Presentato al Festival di Berlino del 2002, il film s’ispira a una contrastata pièce teatrale, Il Vicario, di Rolf Hochhuth (
Der Stellvertreter, 1963), nella quale è denunciato l’atteggiamento di Pio XII nei confronti del Nazismo e della Shoah. Il dramma suscitò grande scandalo al momento della sua rappresentazione e in Italia andò in scena una sola sera, nel 1965, prima di essere censurato. È tornato ad essere rappresentato a Milano, nel 2007, dopo oltre 40 anni.

Ci sono molti film sull’Olocausto dal punto di vista delle vittime – dichiarò il regista Costa-Gavras in un’intervista dell’epoca –, ma il dramma di Hochhuth, che avevo visto rappresentato a Parigi, mi ha subito affascinato perché rispondeva a quello che da tempo volevo fare: un film sull’Olocausto da un altro punto di vista, da quello degli osservatori, di quanti avrebbero potuto parlare e invece tacquero. E sollevava questioni scottanti che facevano e fanno molto discutere. […] io sono d’accordo con la tesi di Hochhuth: il Papa avrebbe dovuto levare la voce contro la persecuzione degli ebrei. La Chiesa era l’unica grande organizzazione rimasta in Germania, con una struttura in grado di avere accesso diretto alla popolazione. Così il cardinale von Gallen tuonò dal pulpito contro lo sterminio degli handicappati, riuscendo a fermarlo. E a quanti sostengono che il Papa volle proteggere i cattolici durante la guerra, rispondo: il problema è che nessuno si mosse quando tutto cominciò, nel 1933. La Chiesa avrebbe potuto protestare già allora, molto prima degli anni della guerra quando il regime hitleriano dispiegò tutta la sua forza bruta. Invece non lo fece, si lasciò che Hitler andasse avanti prima con le leggi razziali, poi con la costruzione dei lager e infine con lo sterminio. Questo è un qualcosa che non capisco: ho sempre creduto che la base su cui opera la Chiesa, in nome di Dio, sia la giustizia.

L’interesse per la tematica politica e per i drammi che solcano il corso della storia umana è al centro dell’attività del regista greco, naturalizzato francese, Constantin Costa-Gavras, il quale alla storia non dà mai, però, la forma della cronaca: «Il cinema deve saper parlare per metafore, non correre dietro alla cronaca»; e ancora: «La storia che ho raccontato non ha una volontà educativa perché secondo me lo scopo del cinema non è didattico, deve essere spettacolo, non una lezione
:

la gente va al cinema per avere emozioni» (http://www.wuz.it/intervista/680/intervista-costa-gavras.html). Metafore / emozioni: sono le cifre non solo stilistiche di un lavoro di quasi mezzo secolo, che assai spesso ha avuto al suo centro la tematica politica rappresentata attraverso la metafora del confronto-scontro personale. Il punto più alto di questa attività è costituito senza dubbio da Z – L’orgia del potere (1969), sul colpo di stato che nel 1967 portò alla dittatura dei colonnelli in Grecia, i quali, contemporaneamente hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoi, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trotsky, scioperare, la libertà sindacale, Lurcat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l’enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostojevskij, Cechov, Gorki e tutti i russi, il “chi è?”, la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, e la lettera “Z” che vuol dire “È vivo” in greco antico.

Così recita una voce fuori campo alla fine del film, che ottenne l’Oscar. Analogo, ossia metaforico e allusivo, l’approccio che si rileva in altri titoli di Costa-Gavras: La confessione (1970) sulla dittatura filosovietica che governava la Cecoslovacchia ai tempi della guerra fredda; L’Amerikano (1973), che denunciava l’appoggio dato dagli USA ai regimi autoritari del Sudamerica; L’affare della sezione speciale (1975), sul governo di Vichy; Missing – Scomparso (1982), sul Cile dopo il colpo di stato di Pinochet; Music Box – Prova d’accusa (1989), sul rapporto tra un ex criminale di guerra nazista ungherese che vive negli USA e la figlia avvocato che prima lo difende e lo fa assolvere credendolo innocente e poi scopre la verità; Mad City – Assalto alla notizia (1997), sul potere dei media di manipolare e distorcere la realtà; Cacciatore di teste (2005), sulle conseguenze della competizione sfrenata in ambito economico e sociale. Il continuo cambiamento del soggetto e/o della scena geo-politica non modifica i procedimenti e le finalità di una meticolosa osservazione in vitro della politica e della storia, attraverso il conflitto fra e negli uomini che ne sono protagonisti.
Anche in Amen la storia è al centro del film, una storia che «bisogna ricordare…perché non si ripeta» (Costa-Gavras); una storia scrutata al
microscopio, appunto, e al cui centro stanno i silenzi e l’indifferenza, il silenzio del
Vaticano, in primo ma non esclusivo luogo, di fronte ai crimini nazisti; la volontà di non vedere; la mancata presa di posizione, che diventa di fatto tacita complicità con la Germania criminale.
Il film non piacque – e non piace tuttora – ai critici, che ne colsero difetti formali (piattezza stilistica, freddezza…) e contenutistici (semplificazione eccessiva di una materia storica complessa). Piacque al pubblico, invece, sul quale ebbe un forte impatto, nonostante l’assenza di ogni spettacolarizzazione dell’orrore e la rinuncia «all’oscenità di una rappresentazione frontale dei modi con cui lo sterminio razzista fu industrializzato» (Il Morandini 2008. Dizionario dei film). L’opzione stilistica resta la solita, per un linguaggio allusivamente metaforico (si osservino, ad es., i treni che fanno la spola tra le terre da cui vengono strappate le vittime e i campi di concentramento), che favorisce lo spostamento del piano di riferimento dalla realtà alla coscienza e quindi l’interiorizzazione della brutalità e dell’ingiustizia. Lo spettatore avverte uno stato d’animo di disagio e di impotenza ed è preso dallo stesso senso di impotenza dei protagonisti, bloccati dall’indifferenza dei rispettivi sistemi. L’assenza di compiacimenti estetici rafforza insomma la dimensione etica, e la concisione espressiva diventa austerità morale, e dà forza a una visione in cui la responsabilità delle istituzioni è contrapposta dialetticamente alla capacità degli individui di inceppare, se non modificare, la macchina della morte.
L’obiettivo del film è quindi diverso da quello del dramma di Hochhuth, teso a denunciare l’atteggiamento di Pio XII e della Chiesa cattolica. Costa-Gavras e lo sceneggiatore Jean-Paul Grumberg gli conferiscono un’articolazione dialettica assente nell’originale, problematizzando e interiorizzando l’intero quadro di riferimento. Il complice silenzio non è un assioma oggetto di giudizio storico, né il punto di partenza per un «processo alla storia». Senza perdere i connotati della storicità, esso attiva un processo ‘attuale’ che riguarda e coinvolge anche il presente, attraverso le emozioni suscitate negli spettatori. Da qui la reale attualità del film, al di là del recente dibattito storiografico, ravvivato dal cinquantesimo anniversario della morte di Pio XII e dal suo processo di beatificazione. Il film non è certamente ‘vecchio’, grazie alla sua capacità di interiorizzare – lo dico nel senso più complesso – la storia.
È questo del resto il compito di chi, come i poeti, racconta la storia fuori dei confini della ricostruzione storica in senso proprio: «Lo storico racconta le cose accadute, il poeta quelle che potrebbero accadere. […] la poesia è cosa più nobile e più filosofica della storia, perché la poesia tratta piuttosto dell’universale, mentre la storia del particolare […] La poesia ha a che fare con verità generali, la storia con eventi specifici» (Poetica, cap. 9,1451b; cap. 23,1459a). Il confronto istituito da Aristotele tra la poesia e la storia aiuta a leggere fra le pieghe della relazione, tutt’altro che scontata, tra la storia scritta e la storia rappresentata al cinema (fiction, intendo, non i documentari, che sono altra cosa), un problema che ha diretta connessione con questo bel ciclo proposto dal prof. Cohen e dal suo gruppo di giovani collaboratori. Il cinema, come la poesia, al di là delle tecniche peculiari che utilizza per il racconto storico (stile, ritmo, immagini: il linguaggio, insomma), mantiene per diritto la libertà di romanzare, la libertà di intrecciare vero e verosimile, ma soprattutto il diritto di guardare alle «verità generali» di Aristotele, all’universale dei poti. È il diritto che peraltro anche uno storico di mestiere come Tucidide, reclamava per sé: «D’abitudine ho fatto dire ai miei oratori quello che, secondo la mia opinione, ci si aspettava che dicessero nelle varie occasioni, naturalmente aderendo il più possibile al senso generale di quello che avevano detto veramente» (1,2,22). E gran parte degli storici europei, fino al sec. XVI, si sono attenuti a questa convenzione.
Sono solo rapidi spunti, forse tecnicamente impropri, ma che mi hanno aiutato a capire perché, ad es., Costa-Gavras ponga, ad es., accanto a Kurt Gerstein (Ulrich Tukur), personaggio realmente esistito, padre Riccardo Fontana (Mathieu Kassovitz), una figura immaginaria, che incarna idealmente tutte le vittime cattoliche dello sterminio programmato, ma anche quella parte della Chiesa cattolica che non accettò il silenzio delle autorità. È l’antico, nobile, intreccio di vero e verosimile, che consente di allungare lo sguardo all’universale senza rimuovere il particolare e il reale. Tra le pieghe più minute della microstoria, come nella cellula fissata dall’occhio del microscopio, sta tutta intera la storia grande, quella con la S maiuscola.




Per saperne di più:
John J. Michalczyk, Costa-Gavras: the Political Fiction Film, Philadelphia – London, The Art Alliance Press, 1984.

Il cinema di Costa-Gavras: processo alla
storia, a cura di Gabriele Rizza – Giovanni Maria Rossi – Aldo Tassone, Firenze, Aida, 2002.

Omaggio a Costa Gavras nel quarantennale della carriera, a cura di Enrico Fava – Alda Tacca – Mario Vighi, Parma, Edicta, 2005.

Natalie Zemon Davis, La storia al cinema. La schiavitù sullo schermo da Kubrick a Spielberg, Roma, Viella, 2007.

1 commento:

Anonimo ha detto...

IL VICARIO di Rolf Hochhuth
di don Sergio Andreoli
1. SORPRESA E AMAREZZA
Manifesto pubblicamente sorpresa e grande amarezza per la presenza, nel programma della prossima stagione di prosa, a Foligno, de "Il Vicario", di Rolf Hochhuth, e invito a leggere i due contributi relativi alla figura di Papa Pio XII, pubblicati da www.folignonews.it in questi ultimi giorni.
2. ANCORA SORPRESA E AMAREZZA
Rinnovo pubblicamente la mia sorpresa e amarezza per la rappresentazione, a Foligno,
de "IL VICARIO",
di Rolf Hochhuth,
e invito a leggere l'articolo all'indirizzo:
http://www.gesuiti.it/moscati/Ital4/Pio12.html
3. UN MANIFESTO OFFENSIVO?
Vorrei dar seguito a “Sorpresa e amarezza”, pubblicato nei giorni scorsi, chiedendo ai cittadini di Foligno - soprattutto a quelli che conoscono il legame “storico” tra la Città e la Chiesa -, se ritengono o no offensivo nei confronti del Sommo Pontefice Pio XII, il manifesto che è stato affisso, per annunciare la rappresentazione teatrale “IL VICARIO”.
Possono esprimere la loro opinione, scrivendo a: sergio.andreoli1@tin.it
4. DALL’AMAREZZA ALLA PROTESTA
Penso che sia lecito a chi, come me, non condivide le tesi di Rolf Hochhuth, autore de “IL VICARIO”, che sarà rappresentato a Foligno, protestare - con educazione, sicuramente! - e affermare senza tentennamenti che non esiste – checché ne possa pensare qualcuno – la libertà di calunnia e di diffamazione.
Esiste, invece, la libertà dalla calunnia e dalla diffamazione, cosa ben diversa, anzi contraria alla precedente: tutti dovremmo cercarla, conseguirla e difenderla.
Io tento di farlo a favore di Pio XII, sperando che anche a Foligno siano tanti quelli che la pensano come me.
5. LA FOTOGRAFIA DI PIO XII E IL MANIFESTO
Torno a chiedere ai miei concittadini, se il manifesto (manipolazione di una fotografia), che annuncia la rappresentazione de "IL VICARIO", è o no, secondo loro, offensivo.
6. ANCORA SU IL VICARIO
Questa mattina,
alla riunione mensile del Clero della diocesi di Foligno,
presenti il Vescovo monsignor Gualtiero Sigismondi e il Vescovo emerito monsignor Giovanni Benedetti,
ho espresso la mia amarezza per la rappresentazione,
a Foligno,
de IL VICARIO.
7. UN ARTICOLO DE LA VOCE
‘Troppo chiasso sui “silenzi” di Pio XII’:
è il titolo di un articolo di don Elio Bromuri,
pubblicato dal settimanale cattolico umbro “La Voce”
(www.lavoce.it),
nel numero 11, di venerdì 19 marzo, a pagina 7.
Ne consiglio la lettura,
anche perché c’è una riferimento alla mia nota “Sorpresa e amarezza”, per il quale esprimo al direttore la mia viva gratitudine.
8. IL VICARIO A FOLIGNO
Il Corriere dell’Umbria, www.corrieredellumbria.it , in prima pagina, oggi 20 marzo scrive: Appello via e-mail ai fedeli folignati. Parroco “censura” spettacolo teatrale.
All’interno, a pagina 44, nella pagina Cultura § Spettacoli, Sabrina Busiri Vici firma il servizio: “Il vicario” fa sollevare il parroco che vuole difendere Pio XII.
So bene che i titoli non si devono attribuire agli autori degli articoli; per questo non li commento.
Ringrazio, invece, vivamente la Busiri Vici, e prima ancora il direttore del Corriere, per aver dato rilievo alla mia sorpresa e amarezza per la rappresentazione, a Foligno, di uno spettacolo, che offende il Sommo Pontefice Pio XII (certo, avrei gradito che i testi dei miei interventi fossero riportati integralmente, ma…).
Segnalo ai lettori, a titolo di informazione, il sito www.donandreoli.it , dove possono trovare tutti i passaggi di questa piccola storia folignate e prendo l’occasione per ringraziare il direttore della Gazzetta di Foligno
(www.gazzettadifoligno.it), monsignor Germano Mancini, per aver dato spazio, nel numero in edicola, al testo Un manifesto offensivo?, e il direttore de La Voce
(www.lavoce.it) monsignor Elio Bromuri, che ha firmato, sul tema, un bell’articolo nell’ultimo numero.
All’attore Foschi, che ha rilasciato l’intervista, mi permetto di rivolgere una domanda: “Le è mai venuto il sospetto, durante lo spettacolo, di farsi portavoce di vere e proprie menzogne?”. 9. UN RINGRAZIAMENTO E UN APPELLO
Esprimo il mio più sincero ringraziamento al direttore di www.folignonews.it , Alberto Mesca, per l'ospitalità che assicura ai miei interventi, riguardo alla rappresentazione teatrale tratta da "IL VICARIO", un testo di Rolf Hochhuth, che ritengo offensivo nei riguardi del Sommo Pontefice Pio XII.
Rivolgo, poi, un appello, agli Ebrei, nostri fratelli maggiori, perché diano la loro testimonianza sul bene fatto alle famiglie Ebree dalle Chiese che sono in Umbria, e dal Papa, Pastore visibile di tutta la Chiesa, negli anni della persecuzione.
10. GRAZIE
Voglio anche ringraziare
Mario Macaluso,
responsabile del sito Internet www.cattolici.net
che ha ospitato i miei interventi.
11. DUE RINGRAZIAMENTI E UN APPELLO
Esprimo il mio più sincero ringraziamento al direttore di www.folignonews.it , Alberto Mesca, per l'ospitalità che assicura ai miei interventi, riguardo alla rappresentazione teatrale tratta da "Il Vicario", un testo di Rolf Hochhuth, che ritengo offensivo nei riguardi del Sommo Pontefice Pio XII.
Voglio anche ringraziare Mario Macaluso, responsabile di www.cattolici.net , in cui ho pubblicato le mie note.
Rivolgo, poi, un appello, agli Ebrei, nostri fratelli maggiori, perché diano la loro testimonianza sul bene fatto alle famiglie Ebree dalle Chiese che sono in Umbria, e dal Papa, Pastore visibile di tutta la Chiesa, negli anni della persecuzione.
12. CORRIERE DELL'UMBRIA
Il Corriere dell'Umbria, www.corrieredellumbria.it ,
il 24 marzo, a pagina 47, ha pubblicato la mia nota "Il Vicario
a Foligno", con il titolo Il Vicario e il parroco folignate.
13. ANCORA LA VOCE
Nel numero 12, del 27 marzo 2009, de La Voce, a pagina 12, si può leggere la mia nota su Il Vicario.
Esprimo la mia gratitudine per la risposta del direttore.
Segnalo anche l'articolo di pagina 6, firmato da M. R. V., dal titolo Pio XII: una vittima dell'ideologia.